Il progetto

Il progetto MAPSEM (Mapping Printed Sources of Entertainment Music in Twentieth-Century Italy) è nato con l’obiettivo di mappare un patrimonio musicale spesso rimasto in ombra: le edizioni a stampa d’uso professionale e quotidiano diffuse in Italia tra l’inizio del Novecento e gli anni Cinquanta. Migliaia di monografie, partiture per orchestrina, canzoni e adattamenti cinematografici documentano un repertorio che rappresenta una componente essenziale della vita musicale dell’epoca. Il progetto intende restituire visibilità a questo patrimonio silente e storicamente marginalizzato, riattivandolo per la ricerca storica e per nuove forme di fruizione.

Un patrimonio da riscoprire

MAPSEM restituisce centralità a un comparto musicale rimasto ai margini, dando voce a un patrimonio silente e residuale che per decenni è stato ai margini della storiografia musicologica. Attraverso la mappatura emergono le reti di compositori, parolieri, arrangiatori, editori e interpreti che hanno contribuito alla circolazione della musica d’uso.

Dai processi di dancification che hanno caratterizzato la cosiddetta “Età dei ritmi” alla progressiva industrializzazione di tradizioni artigianali di scrittura ed edizione, dalla sonorizzazione della socialità alla mediatizzazione diffusa, queste fonti apparentemente inerti mostrano come balli, canzoni e musiche di sottofondo abbiano caratterizzato in profondità la costituzione della società urbana borghese in Italia, contribuendo a costruire immaginari condivisi e a dialogare con i nuovi media del tempo: radio, cinema, discografia.

Accesso e ricerca

Il cuore del progetto è un database relazionale che rende accessibile questo patrimonio e ne rivela la complessità. Monografie, composizioni, collezioni editoriali, responsabilità (editori e persone), generi e ritmi musicali, e musiche e film correlati sono descritti attraverso metadati catalografici e musicologici, così da consentire ricerche trasversali e innovativi percorsi di esplorazione. In questo modo, il patrimonio residuale non è soltanto preservato, ma diventa nuovamente interrogabile, favorendo la ricerca, la divulgazione culturale e la possibilità di nuove pratiche performative e intermediali

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